Di patti e funerali.

 

Vi capita mai di pensare a chi parteciperà al vostro funerale, oppure a quali funerali parteciperete voi?

Una ventina di anni fa fantasticavo su chi mi avrebbe chiesto di essere la sua testimone di nozze (per la cronaca, nessuno ad oggi). Poi a chi avrei fatto da madrina ad un battesimo. Questa cosa dei funerali non so come e quando sia iniziata a passarmi per la testa, ma sicuramente le precede tutte.

Non dovete credere che sia un pensiero triste, al contrario, è uno di quei pensieri che ti scaldano il cuore… con un tocco di malinconia. In effetti la domanda potrebbe essere posta diversamente: con chi pensi di aver condiviso tanto nella vita da volergli dare un ultimo saluto? Un po’ come l’abbraccio ad un’amica prima della partenza per un lungo viaggio. Non si abbraccia chiunque, o almeno io non lo faccio, io non abbraccio spesso; parlo molto, sì, ma non mi lancio facilmente in particolari espressioni di affetto.

Quindi, sì, per rispondere alla domanda, tra le prime persone fuori dal mio stretto nucleo famigliare c’è certamente Chiara. La cosa un po’ macabra e se volete e anche un po’ assurda, è che questi pensieri, io e lei, li avevamo già fatti molto prima della patente!

Quando io e Chiara eravamo ragazzine, le nostre nonne erano vedove e molto, molto credenti. Mia nonna andava a messa, recitava tutti e cinque i rosari e pregava per i defunti tutti i giorni. Tutti. Anche la nonna di Chiara era molto simile alla mia. Avevano abitato nello stesso quartiere negli anni ’60, i loro figli avevano giocato insieme per le strade non ancora asfaltate e frequentato la stessa parrocchia e sì, si conoscevano, ma non erano in confidenza.

Per noi, quindi, non era poi così strano pensare all’aldilà, ai santi o avere sul comodino un qualche libro delle preghiere di Medjugorje o simili. Erano, diciamo, la nostra quotidianità. Così una volta leggemmo di una preghiera che si poteva recitare alla morte di un caro, la quale lo avrebbe spedito direttamente in paradiso, senza passare da nessuno dei gironi danteschi, una sorta di telepass: la sbarra si alza e non si paga nemmeno il pedaggio. Bastava recitarla per 365 giorni e pensare intensamente a quella persona e… via!

Non dovevamo avere più di 16 anni quando facemmo il patto: la prima che fosse morta avrebbe dovuto leggere le preghiere per l’altra. Sono quegli accordi che ti procurano una certa lubrificazione oculare, che senti come un patto di sangue (termine che non si poteva citare nei nostri ambienti!) una sorellanza, insomma. Non ne abbiamo mai fatto parola con nessuno (e ora che sono passati quasi 30 anni credo se ne possa parlare) ma sono certa che anche Chiara ricorderà quel giorno. Oggi non credo più ai privilegi che la preghiera procurerebbe al fortunato destinatario, ma può essere che la leggerei comunque, perché un patto, per quanto bizzarro fosse al tempo, è pur sempre un patto.

L’unica considerazione che rimane irrisolta è: come si guadagnerà l’accesso diretto in paradiso la fortunata sopravvissuta? Ho ancora il libricino da qualche parte, credo che ci darò un occhio.