Di prima dell’uno o della candidatura
Siamo amiche da che abbiamo memoria.
Abitiamo nella stessa palazzina da 9 anni,
siamo parenti da 12 (ho sposato suo cugino)
e ci conosciamo da almeno 30.
Questi potrebbero essere i nostri numeri se sulla porta ci fosse Erin Brockovich.
Sulla porta invece ci siamo spesso io e lei. Ormai il pianerottolo non è più area comune, è la nostra zona franca, il nostro confessionale e la nostra serra condivisa. È qui che ci congeliamo d’inverno pur di scambiare un’ultima parola e lasciamo sullo zerbino i tupperware con gli avanzi della cena del giorno prima, le taniche di acqua di montagna, le bollette finite nella buchetta sbagliate e qualche pacco Amazon.
I nostri due appartamenti non sono che il prolungamento di quello dell’altra, per non parlare dei frigoriferi.
La certezza è sempre una sola: lei beve litri di tè e le manca il limone, io faccio la pizza tutte le settimane col suo lievito. Quando faccio la spesa prendo sempre un limone in più, lei un pannetto di lievito, non si sa mai.
Non c’è da stupirsi, insomma, se tutto è cominciato sull’uscio di casa sua, tra una pentola da rendere e un barattolo di yogurt casereccio per i miei bimbi.
«Ho poi accettato di candidarmi nella lista del Presidente…»
Riapro lentamente la porta che stavo già chiudendo, la guardo con due occhi fuori dalle orbite, devo tornare in casa, è tardi, i bimbi sono stanchi, ma la sincerità prende il sopravvento:
«Non vorrei mai essere nei tuoi panni!»
Mi guarda e fa quel gesto con le mani, quello che precede un qualcosa di terribile.
«Mi aiuti?»
«ehh?»
Impalata, in pigiama e con le chiappe congelate la scruto per qualche secondo e, mentre visualizzo il carosello di casini delle mie giornate, penso e dico nello stesso istante:
«Sei un’infame Chiara!»
Il suo sorrisino la dice lunga, un misto fra: dai, lo so che ti piacerebbe e: per favore, non dirmi no.
Perché lei lo sa, l’infame, che non le direi mai no, mai.
Non credo di averle ancora risposto.